IX REPARTO D’ASSALTO

Quella degli arditi fu una specialità dell’arma di fanteria del Regio Esercito italiano durante la prima guerra mondiale.

La specialità, costituita in autonomi reparti d’assalto, fu sciolta nel 1920. Reparti arditi furono ricostituiti durante la seconda guerra mondiale con l’attivazione del 10º Reggimento arditi. Le sue tradizioni militari sono oggi tenute vive dal 9º reggimento paracadutisti Col Moschin. La memoria è mantenuta dall’associazione combattentistica di reduci Arditi d’Italia.

STORIA

Esperimenti anticipatori

Un’idea anticipatrice dell’Ardito può essere fatta lontanamente risalire al 1914, quando in ogni reggimento del Regio Esercito venne creato un gruppo di esploratori addestrati ad agire dietro le linee nemiche e tagliare il filo spinato di notte, vestiti completamente di nero. I primi nuclei di Arditi nacquero e si addestrarono a Manzano (Udine), in località Sdricca, dove tuttora si celebra una commemorazione ed una rievocazione l’ultima domenica di luglio.

La vulgata popolare vuole riconoscere come antesignani degli Arditi anche i componenti delle cosiddette “Compagnie della morte”, pattuglie speciali di fanteria o del genio adibite al taglio o al brillamento dei reticolati nemici, facilmente riconoscibili per l’uso di corazze ed elmetti principalmente del tipo “Farina”.

In seguito, gli Arditi divennero un corpo speciale d’assalto. Il loro compito non era più quello di aprire la strada alla fanteria verso le linee nemiche, ma la totale conquista di queste ultime. Per fare ciò, venivano scelti i soldati più temerari, che ricevevano un addestramento molto realistico, con l’uso di granate e munizionamento reali, e con lo studio delle tecniche d’assalto e del combattimento corpo a corpo.

Operativamente, gli Arditi agivano in piccole unità d’assalto, i cui membri erano dotati di petardi “Thévenot”, granate e pugnali, utilizzati in assalti alle trincee nemiche. Le trincee venivano tenute occupate fino all’arrivo dei rincalzi di fanteria. Il tasso di perdite era estremamente elevato.

Nel dopoguerra si volle sostenere che l’idea dell’Ardito fosse stata una creazione del capitano Cristoforo Baseggio che nell’ottobre 1915 era stato posto al comando di una unità denominata “Compagnia volontari esploratori”, che operava in Valsugana. Questa circostanza venne a più riprese e veementemente contestata dai vertici dell’associazione arditi e dai maggiori memorialisti. L’unità contava 13 ufficiali e 400 soldati di truppa scelti su base volontaria e provenienti da vari reparti del settore della 15ª Divisione. La “Compagnia Autonoma Volontari Arditi”, al comando del Capitano Baseggio, quando conquistò nell’aprile 1916 il monte Sant’Osvaldo, venendo quasi completamente annientata, fu citata nel bollettino di guerra[5].

Nel 1916 il Comando Supremo decise di premiare con la qualifica di “militare ardito” chi si fosse distinto per decisione e coraggio, con l’espresso divieto di creare unità speciali[6]. Il distintivo, da portarsi al braccio sinistro, era il monogramma reale VE, ed era pensato esclusivamente come premio e come indicazione del soldato da portare ad esempio. Questa fu tuttavia la genesi nell’immaginario del vocabolo “Ardito”.

La nascita nella Grande Guerra

Nel 1917 a seguito di proposte e studi da parte di giovani ufficiali stanchi della stasi e dell’inutile massacro della vita di trincea, si arrivò alla sperimentazione di un’unità appositamente costituita presso la 48ª Divisione dell’VIII Corpo d’armata, comandata dal maggiore Giuseppe Bassi, che si avvaleva della collaborazione del sergente Giuseppe Longoni. Giuseppe Bassi fu inoltre autore di una innovativa nota sull’impiego delle pistole mitragliatrici Fiat Mod. 15 /OVP – Officine Villar Perosa.

Va fatto presente che già nel marzo 1917 il Comando Supremo aveva inviato una circolare informativa circa la costituzione presso l’esercito austroungarico di unità speciali. Peraltro, il primo ad adottare il concetto di truppa di élite era stato l’esercito tedesco, mediamente molto meglio addestrato dei normali reparti: le Stoßtruppen.

A seguito di valutazione positiva il gen. Luigi Cadorna decise di istituzionalizzare la nascita della nuova specialità, ma dissidi sull’equipaggiamento e sull’addestramento fecero slittare l’inizio dell’attività al 29 luglio 1917, quando lo stesso re Vittorio Emanuele III sancì la nascita dei reparti d’assalto.

I neonati reparti d’assalto si svilupparono quindi come corpo a sé stante, con una propria uniforme ed un addestramento differenziato e superiore a quello dei normali soldati, da impiegarsi a livello di compagnia o di intero battaglione. La sede della scuola d’addestramento venne fissata a Sdricca di Manzano (Udine) ed il comando affidato allo stesso maggiore Bassi. In seguito alla scuola di Sdricca (e alle altre create all’uopo) vennero brevettati anche gli arditi reggimentali (niente a che vedere con i “militari arditi” del 1916), la cui istituzione fu poi ufficializzata nel 1918 con apposita circolare.

I primi reparti vennero creati nella 2ª Armata, e al momento di Caporetto risultavano costituiti 27 reparti (secondo alcuni 23), anche se quelli effettivamente impiegati in combattimento furono meno. Quelli dipendenti dalla 2ª e dalla 3ª armata erano alle dipendenze del comando d’armata, mentre gli altri erano alle dipendenze dei comandi di corpo d’armata, soprattutto nel caso delle fiamme verdi e degli altri reparti operanti in ambiente alpino. Solo i reparti della 2ª Armata erano già stati utilizzati ampiamente e provati in azione (almeno 3 battaglioni su 6 avevano operato come unità organiche, mentre gli altri erano spesso impiegati solo a livello di compagnie); mentre tra quelli della 3ª Armata, probabilmente 3 battaglioni erano già ad un livello elevato di preparazione fisica e tecnica mentre gli altri invece si trovavano ancora in addestramento; inoltre i reparti arditi degli alpini talvolta erano stati addestrati secondo standard inferiori a quelli della 2ª e 3ª Armata, che disponevano anche di un secondo apposito campo d’addestramento a Borgnano, nei pressi di Medea (GO), e di un comando unico per le truppe ardite; si può dire che ancora nel tardo 1917 la specialità non era ancora stata ben compresa dagli alti comandi al di fuori di queste due armate.

I primi sei reparti della 2ª Armata combatterono la battaglia di Udine e protessero la ritirata sui ponti di Vidor e della Priula, rimanendo sulle posizioni per consentire alle ultime unità regolari di passare il Piave. Un Reparto d’Assalto era composto (inizialmente e teoricamente) da 735 uomini.

Dopo il disastro di Caporetto, gli Arditi caddero per qualche tempo in disgrazia e furono riorganizzati pesantemente; il colonnello Bassi perse a sua volta prestigio ed invece di sopraintendere all’organizzazione degli Arditi quale ispettore fu inviato a comandare un normale reggimento di linea.

La riorganizzazione del 1917

Nell’inverno del 1917 vennero sciolti, ricostituiti e riaddestrati arrivando a 22 reparti operativi, per diventare al maggio 1918 di nuovo 27 (più un reparto di marcia per ogni armata), assegnati ai corpi d’armata. In particolare la riorganizzazione prevedeva la normalizzazione dei reparti (portati a 21, e numerati da I a XIII, XVI, XVII, e da XIX a XXIV) con l’invio di ufficiali più dediti alla cura della disciplina. L’organizzazione fu portata da 4 a 3 compagnie, di 150 uomini ciascuna, cui erano associate 3 sezioni autonome di mitragliatrici (Fiat Mod. 14), 6 sezioni autonome di pistole mitragliatrici (mitragliatrici leggere Villar Perosa), 6 sezioni autonome di lanciafiamme, per un totale di 600 uomini circa; le mitragliatrici e le pistole mitragliatrici furono tolte alle compagnie e raccolte in sezioni (contrariamente all’intuizione di Bassi e di Capello), anche se poi queste sezioni per lo più venivano, nella pratica, riassegnate alle compagnie. Inoltre, per snellire i reparti, furono eliminati, almeno temporaneamente i due cannoni da 37 o i due obici da 65/17 che il generale Luigi Capello aveva aggiunto ai reparti Arditi della 2ª Armata.

Anche la divisa si normalizzò, sembra per carenza di materiali, per tornare all’originale verso la metà del 1918, un reparto la volta. L’addestramento centralizzato nel campo di Sdricca, fortemente consigliato da Bassi, fu sostituito con campi d’addestramento specifici per ogni corpo d’armata, anche se il modello d’addestramento fu presto adeguato a quello originale (in questa riorganizzazione si decise di dotare ogni corpo d’armata di un reparto arditi, momentaneamente rinunciando alla creazione di grossi reparti d’assalto, previsti da Capello e riorganizzati alla fine del 1918). Dopo un momento di incomprensione, i nuovi ufficiali furono molto colpiti dalla forma mentis e dalle pratiche d’addestramento degli arditi, giungendo nuovamente a raggiungere l’eccellenza grazie alla formazione di nuove reclute che riempivano i vuoti causati dalla ritirata.

In particolare, si distinsero gli arditi del IX Battaglione (comandante l’allora maggiore e futuro maresciallo d’Italia Giovanni Messe) e quelli del V, ora XXVII (comandante maggiore Luigi Freguglia), entrambi inizialmente tra i peggiori della specialità e portati ai massimi livelli dai rispettivi comandanti, che curarono notevolmente la preparazione atletica e il realismo delle esercitazioni, oltre a congedare alcuni elementi indisciplinati e troppo provati.

Nel 1918 si volle nuovamente riorganizzare la specialità, che rimaneva poco compresa dagli alti comandi, ma che si era molto distinta. I battaglioni dedicati al corpo d’armata presero la denominazione del corpo stesso e ne condivisero la numerazione (da 1º a 23º, sia in numeri romani che in numeri arabi), cui si aggiungevano altri battaglioni, inizialmente il XXX (dato come rinforzo al I Corpo d’armata) e il LII (abbinato alla 52ª Divisione alpina, che aveva compiti autonomi); cui si aggiungevano 7 battaglioni “di marcia” destinati alla riserva centrale e all’addestramento dei complementi, più tre battaglioni autonomi aggregati ai reparti italiani operanti fuori dal fronte italiano (uno in Francia, uno in Albania e uno in Macedonia).

Le due divisioni d’assalto

Si cercò di costituire (riprendendo la decisione di Capello del ’17) delle grandi unità composte eminentemente di arditi: la 1ª e la 2ª Divisione d’assalto, con 6 battaglioni ciascuna (comprendente anche artiglieria, servizi e battaglioni di Bersaglieri). Fu comunque difficile mantenere l’organico previsto e molti battaglioni furono spostati dai corpi d’armata alle divisioni e viceversa, per un totale di 39-40 battaglioni addestrati, circa, alcuni dei quali in seguito ai combattimenti venivano sciolti e riorganizzati o utilizzati, divisi per compagnie, per rinforzare altri reparti con una singola unità.

Verso la fine della guerra gli Arditi chiedevano sempre più insistentemente la sostituzione delle pistole mitragliatrici Villar Perosa Mod. 1915 in dotazione con i Beretta MAB 18 (ovvero “vere” pistole mitragliatrici manuali e non ibridi tra la pistola mitragliatrice e la mitragliatrice leggera) e di mitragliatrici leggere “vere” sulla falsariga del BAR americano e della Lewis inglese, o anche dalla Madsen danese (in uso presso l’esercito imperiale russo). Alcuni Lewis Gun furono effettivamente acquistati, ma passati per lo più al corpo mitraglieri. In verità le mitragliatrici italiane di entrambe le guerre mondiali furono insufficienti numericamente, e spesso tecnicamente alla bisogna; gli arditi, facendo di necessità virtù, finirono con l’utilizzare nello stretto delle trincee, dove il fucile con baionetta diventava ingombrante, tattiche “obsolete” come il corpo a corpo con il pugnale, al quale venivano specificatamente addestrati.

Nel giugno del 1918 venne costituita una Divisione d’assalto con nove reparti al comando del maggior generale Ottavio Zoppi, divenuta poi Corpo d’armata d’assalto con dodici reparti su due divisioni. Al Corpo d’armata d’assalto vennero assegnati anche sei battaglioni bersaglieri e due battaglioni bersaglieri ciclisti, nonché supporti tattici e logistici adeguati. I reparti prelevati dai corpi d’armata per costituire le divisioni vennero ricostituiti tanto che a fine guerra si contavano i dodici reparti d’assalto (più due di marcia) inquadrati nel Corpo d’armata d’assalto, e venticinque reparti indipendenti assegnati alle armate.

Il 18 settembre 1944 gli Arditi del IX reparto assalirono d’impeto e sfondarono la linea difensiva tedesca Edith posta lungo il fiume Musone tra Osimo e Filottrano laddove per 17 giorni avevano fallito le truppe polacche, il CIL, e la Brigata Majella. Il loro valoroso atto consentì di occupare Jesi e di liberare anticipatamente Ancona la cui presa anticiperà, sorprendendoli, la caduta dei tedeschi sulla Linea Gotica.

Gli arditi furono tra gli artefici dello sfondamento della linea del Piave che permise nel novembre del 1918 la vittoria finale sugli eserciti austroungarici.

Lo scioglimento dei reparti

Pochi mesi dopo il termine della guerra, con la smobilitazione dell’esercito, si decise lo scioglimento dei reparti d’assalto, sia per motivi di riorganizzazione che di politica interna al Regio Esercito. Queste motivazioni furono riassunte dal generale Francesco Saverio Grazioli, uno dei padri degli arditi:

«Cessata la guerra, cessata l’occasione di menar le mani, di dar prova della loro audacia, di far bottino, di farsi belli delle loro imprese, la loro natura scapigliata ed esuberante o si perderà , ed allora diventeranno ordinaria fanteria che non giustificherebbe le forme esterne e l’appellativo ufficiale loro proprio, ovvero persisterà, ed allora sarà estremamente difficile a chicchessia di contenerla, di evitare deplorevoli infrazioni disciplinari e forse reati, che offuscherebbero la loro stessa gloriosa fama andatasi formando con la guerra.»

(“Promemoria sulla sorte possibile delle truppe d’assalto”, 18 novembre 1918.)
Tra gennaio e febbraio 1919 il Comando Supremo sciolse il Corpo d’armata d’assalto, la 2ª Divisione d’assalto e tutti i reparti non indivisionati.

Nel marzo 1919 solo la “1ª Divisione d’assalto” era ancora operativa e venne inviata nella Libia italiana per operazioni di polizia coloniale di breve durata insieme ad altre due divisioni ordinarie. Il suo rimpatrio fu deciso il 26 maggio, proprio quando la questione di Fiume era diventata incandescente con il ritiro dei delegati italiani dalle trattative di pace e la costituzione di un primo gruppo di volontari. Nel giugno la divisione sbarcò a Venezia e venne schierata lungo il delicato confine orientale.

Con l’inizio del biennio rosso, il Ministro della Guerra Caviglia decise anche di ricostituire temporaneamente alcuni reparti di Arditi da impiegare in operazioni di ordine pubblico particolarmente impegnative.

I reparti arditi XX e XXII, con il IX Bersaglieri costituiscono un “Reggimento d’assalto” che operò in Albania fra giugno ed agosto 1920. Tale reggimento al rientro in Italia viene stanziato in Veneto dove viene soppresso con scioglimento definitivo avvenuto alla fine del 1920 con il nuovo ordinamento Bonomi.

Dopo la smobilitazione

L’impresa di Fiume

Numerosi ex arditi parteciparono attivamente all’impresa fiumana sotto la guida di Gabriele d’Annunzio, dopo l’occupazione della città, venne instaurata la “Reggenza del Carnaro” e venne promulgata, come carta costituzionale del nuovo Stato, la Carta del Carnaro tra i cui principali ispiratori vi fu il sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris, anche lui con passato di Ardito. Il 25 dicembre 1920 (il cosiddetto Natale di Sangue) le truppe regolari dell’esercito italiano guidate dal generale Caviglia posero termine alla fugace esperienza della Repubblica del Carnaro dopo brevi scontri.

Gli Arditi del Popolo

La maggior parte di coloro che avevano combattuto trai gli Arditi seguì D’Annunzio o si schierò con i nascenti Fasci di combattimento, ma non tutti, come risulta dall’esperienza degli Arditi del Popolo (frangia secessionista romana dell’ANAI, schierata politicamente sulle posizioni del socialismo massimalista). La sezione romana dell’associazione Arditi d’Italia dette così vita, in contrapposizione al forte ma non ancora consolidato movimento dello squadrismo fascista, agli Arditi del Popolo, gruppo paramilitare, cui non facevano parte solo arditi ma reduci dalla guerra, con connotazioni antifasciste che ebbe adesioni fra anarchici, comunisti, socialisti. I comunisti ne costituivano l’ala maggioritaria ma erano presenti anche componenti repubblicane come ad esempio Vincenzo Baldazzi che fu uno dei capi, e talvolta, come nella difesa di Parma, anche militanti del Partito Popolare, come il consigliere Corazza ucciso a Parma dai fascisti negli scontri.

Nacquero nell’estate del 1921 per opera di Argo Secondari, ex tenente delle “Fiamme nere” (arditi che provenivano dalla fanteria) di tendenza anarchica. La consistenza certa di queste formazioni paramilitari fu di 20.000 uomini iscritti, per un totale di circa 50.000 uomini con simpatizzanti e partecipanti alle azioni, tra i quali reduci di guerra, alcuni di loro su posizioni neutrali o antifasciste.

L’evento forse di maggior risonanza fu la difesa di Parma dallo squadrismo fascista nel 1922: circa 10.000 squadristi fascisti, prima al comando di Roberto Farinacci, poi di Italo Balbo, dovettero rinunciare a “conquistare” la città dopo 5 giorni di scontri con un consistente gruppo di socialisti, anarchici e comunisti, comandati dai capi degli Arditi del Popolo (350 arditi del popolo presero parte allo scontro con i fascisti) Antonio Cieri e Guido Picelli. I morti tra i fascisti furono 39, tra coloro che resistettero cinque.

Durante il fascismo

Fra le due guerre gli ex arditi si riunirono nell’Associazione Nazionale Arditi d’Italia (ANAI), fondata dal capitano Mario Carli, poi tra i membri del cosiddetto “fascismo delle origini”, lo stesso che scrisse assieme a Marinetti l’articolo Arditi non gendarmi. La maggioranza degli arditi aderì al movimento fascista e prese parte alla marcia su Roma, e molti sarebbero diventati importanti capi fascisti, come Giuseppe Bottai e Italo Balbo, anche se l’adesione non fu unanime.

Venne fondata la FNAI (Federazione Nazionale Arditi D’Italia) il 23 ottobre 1922 da Mussolini che aveva sciolto l’ANAI considerata poco affidabile per il fascismo e nella FNAI confluirono un gran numero di Arditi.[19] Nel 1937 Mussolini donò a Roma la Torre dei Conti presso Via dei Fori Imperiali (allora via dell’Impero) alla FNAI che lì rimase fino al 1943. Nel 1938 nella torre fu allestito un mausoleo dove sono tuttora conservate le spoglie del generale degli arditi Alessandro Parisi, morto quell’anno in un incidente stradale e presidente della federazione dal 1932.

Il generale Capello, ispiratore e fondatore del corpo, fu tra i primi ad aderire ai Fasci italiani di combattimento; fu chiamato a presiederne il Congresso di Roma nel novembre 1921 e nell’ottobre 1922 prese parte alla Marcia su Roma. Ma per la sua adesione alla massoneria, dal 1925 fu emarginato dall’esercito, che lo considerava uno dei massimi responsabili del disastro di Caporetto, e dal fascismo, che poi lo incarcerò perché lo considerava connivente con l’attentato Zamboni a Mussolini. Come lui molti altri “padri” dell’Arditismo, che non erano confluiti nel fascismo, furono emarginati, a vantaggio di figure, magari meno importanti, ma di sicura fede fascista o aderenti al fascismo pre marcia.

La specialità fu ricostituita durante la guerra civile spagnola (1936-1939) dove reparti di arditi della MVSN furono inquadrati in battaglioni nel Corpo Truppe Volontarie.

Nella seconda guerra mondiale

Nel maggio 1942, durante la seconda guerra mondiale venne costituito il I Battaglione speciale arditi. Questo venne costituito il 15 maggio su tre compagnie, ognuna specializzata su una modalità di infiltrazione in territorio nemico. Il del 20 luglio 1942 lo SMRE costituì il Reggimento Arditi, con sede a Santa Severa, vicino a Roma ed il 1º agosto vi confluì il I Battaglione speciale Arditi, quale sua prima pedina operativa e il 15 settembre assunse la denominazione di X reggimento arditi. Operò in Nord Africa e in Sicilia, anche dietro le linee nemiche fino allo scioglimento nel settembre 1943.

Il I battaglione Arditi che l’8 settembre si trovava in Sardegna, non occupata dai tedeschi, aderì al regno del Sud e nel marzo 1944 andò a costituire il IX Reparto d’assalto dell’Esercito cobelligerante italiano. Nel settembre ebbe la denominazione di III Battaglione “Col Moschin” del 68º Reggimento fanteria “Legnano”, composto da 400 arditi.

Anche la Regia Aeronautica costituì unità di arditi: il battaglione ADRA (Arditi distruttori della Regia Aeronautica) istituito il 28 luglio 1942, che operò nel corso dello sbarco alleato in Sicilia. Operò dopo l’8 settembre 1943, durante la Repubblica Sociale Italiana, con il nome di ADAR (Arditi Distruttori Aeronautica Repubblicana), con sede a Tradate. Nel 1944 furono costituiti sempre per l’Aeronautica nazionale repubblicana il 1º Reggimento Arditi Paracadutisti “Folgore” (ex Reggimento paracadutisti “Folgore”) e il 2º Reggimento Arditi Paracadutisti “Nembo” (attivo solo con due battaglioni).

Nel dopoguerra

Le tradizioni degli arditi furono ereditate in seno all’Esercito Italiano, il 20 Settembre 1954 dal Reparto Sabotatori Paracadutisti, e a partire dal 1975 dal 9º Battaglione d’Assalto Paracadutisti “Col Moschin” (poi Reggimento dal 1995).

Fonte: Wikipedia.it