Le testimonianze degli agenti della Supergladio Nino Arconte e “Franz” hanno svelato l’esistenza, negli anni passati, di un rapporto organico tra i servizi dell’intelligence militare e i reparti speciali delle forze armate. Arconte, conosciuto all’interno della struttura segreta con il nome in codice G.71, ha infatti esibito un documento per dimostrare che faceva parte del “nucleo speciale G di Comsubin”. Cioè un gruppo di gladiatori, inseriti nel corpo d’elite della Marina “Comando subacquei incursori Teseo Tesei”, che ha sede a Varignano, nel golfo della Spezia.
Il documento, ora nelle mani del procuratore militare Antonino Intelisano, ha un grande valore politico intrinseco. Perché mina una verità di Stato rappresentata al Parlamento nel 1990 dall’allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti. Cioè che Gladio era una struttura ormai in via di smobilitazione, nata nei primi anni Cinquanta in funzione di una possibile invasione sovietica. E soprattutto che questo servizio segreto parallelo, inquadrato direttamente in una strategia Nato, era composto soltanto da civili. Per l’esattezza, 622.
Troverebbero così una clamorosa conferma i sospetti di Carlo Mastelloni, il magistrato veneziano che indagava sull’abbattimento dell’aereo del Sid “Argo 16”. Mastelloni, infatti, aveva intuito l’esistenza di un’altra Gladio, profondamente radicata nella struttura militare, soprattutto nei reparti scelti delle forze armate. Come i parà del Col Moschin e gli incursori di Marina del Comsubin.
Così, il 28 gennaio del 1994, il magistrato chiese con un’ordinanza al comandante del IX Battaglione Col Moschin “di consegnare entro 96 ore la pianificazione vigente, relativa all’impiego del reparto nelle operazioni militari non convenzionali”. La risposta fu immediata: niente da fare, la documentazione richiesta era protetta dal segreto di Stato. Mastelloni provò a insistere, ricordando che nella sua inchiesta procedeva per il reato di strage, per il quale non è opponibile il vincolo del segreto. Non solo, anticipò perfino alcuni importanti elementi sui quali si fondava la sua richiesta: i rapporti intercorsi tra il 1978 e il 1980 tra uno degli ufficiali del Col Moschin, l’allora tenente colonnello Franco Monticone e l’estremista di destra Gianni Nardi, ufficialmente morto in un incidente in Spagna. Al magistrato risultava che l’ufficio R del servizio segreto militare aveva proposto di impiegare Nardi nella struttura segreta Gladio.
Sempre per sostenere la sua richiesta, Mastelloni aveva anche scritto nella sua ordinanza che un neofascista, Andrea Brogi, aveva dichiarato in un interrogatorio che gli ufficiali della Smipar di Pisa (la scuola di paracadutisno militare) fornivano gli istruttori alla struttura Gladio.
Il magistrato veneziano però non si arrese e cercò di superare il segreto di Stato, rivolgendosi all’allora presidente del Consiglio, Carlo Azeglio Ciampi. Mastelloni estese la sua richiesta di acquisizione di documenti anche al Comsubin, le teste di cuoio della Marina, mobilitate segretamente durante il sequestro del presidente della Dc Aldo Moro.
Ciampi rispose che la documentazione era qualificata della “massima segretezza” e che, comunque, avrebbe informato della richiesta il segretario nella Nato Willy Claes, “per verificare la possibilità di rimuovere i vincoli sia per la consultazione sia per l’acquisizione della documentazione”.
E mentre la diplomazia di Palazzo Chigi si metteva in moto, Ciampi consentì a Mastelloni di consultare parte della documentazione non classificata su Col Moschin e Comsubin. Per il magistrato arrivò una prima significativa conferma ai suoi sospetti. I due reparti risultavano infatti, come si dice in gergo militare, a “doppio cappello”. Cioè dipendevano dagli stati maggiori dell’Esercito e della Marina e, allo stesso tempo, dalla Nato.
Riaffiorò così in quei giorni la testimonianza, resa qualche anno prima alla magistratura, dall’ufficiale addetto all’addestramento dei gladiatori a Poglina e a Capo Marrargiu, Decimo Garau: “Dei veri piani dei gladiatori erano più informati i capi del Col Moschin e del Comsubin delle alte sfere militari”.
Dopo qualche mese, esattamente il 16 marzo 1995, arrivò da Bruxelles la risposta del segretario della Nato Willy Claes: “Signor ambasciatore – scrisse Claes al rappresentante della diplomazia italiana, Emanuele Scamacca del Murgo e dell’Agnone – i primi tre documenti richiesti non possono essere declassificati”. Un’espressione burocratica per dire: i piani operativi del Col Moschin e del Comsubin sono sigillati con il massimo livello di segretezza dall’alleanza atlantica. Il cosiddetto “top secret Cosmic”.
Solo uno dei documenti richiesti da Mastelloni era stato desecretato: “Il 410001 escape and exfiltration – scrisse Claes – è stato declassificato Nato riservato ed è stato consegnato alle autorità italiane”
Mastelloni si pose anche l’interrogativo se parte della documentazione potesse essere contenuta negli archivi della base di Poglina, vicino ad Alghero. Ma qui trovò poco o nulla. Era come se una mano sapiente avesse cancellato tutto su Gladio. Non vennero trovati neppure i diari che i gladiatori redigevano durante il loro addestramento. Molti di questi documenti sarebbero stati distrutti in gran fretta .Ma c’è un’altra traccia che porta a un superservizio segreto che non può essere identificato con la Gladio dei 622 civili. Si tratta di un documento trovato tra i documenti dell’ex presidente del Consiglio Bettino Craxi e poi finito al Comitato di controllo dei servizi di sicurezza e alla procura della Repubblica di Roma. Nell’appunto, intitolato Operazione Gladio e redatto da un anonimo informatore del leader socialista nella primavera del 1991, si legge: “Un superservizio in realtà è sempre esistito, ma non è quello di cui si parla e aveva ed ha compiti informativi, non certo assegnati agli uomini della Gladio”. E aggiungeva che, per poterlo definire, era necessario “l’utilizzo di dati classificati Cosmic”. Cioè la codifica di segretezza apposta dalla Nato a Mastelloni.

La struttura organizzativa di Gladio

Il 1 ottobre 1956 era stata costituita, nell’ambito dell’Ufficio “R” del SIFAR, una Sezione Addestramento, denominata S.A.D. (Studi Speciali e Addestramento del Personale). La S.A.D. ai cui responsabili verrà demandato il ruolo di Coordinatore Generale dell’Operazione “Gladio”, si articolava in quattro gruppi:

  • Gruppo Supporto Generale;
  • Gruppo Segreteria Permanente ed Attivazione delle Branche Operative;
  • Gruppo Trasmissioni;
  • Gruppo Supporto Aereo, Logistico ed Operativo.

Alle dipendenze della S.A.D. venne posto il Centro Addestramento Guastatori (C.A.G.) e la Struttura Segreta N.A.T.O. Stay Behind “Gladio”, la quale era così strutturata:

  • Unità di Comando
    • 1 Nucleo Informativo
    • 1 Nucleo Propaganda
    • 1 Nucleo Evasione e Fuga
    • 2 Nuclei Guerriglia
  • Unità di Pronto Impiego “Stella Alpina” (Friuli-Venezia Giulia)
  • Unità di Pronto Impiego “Stella Marina” (Trieste)
  • Unità di Pronto Impiego “Rododendro” (Trentino-Alto Adige)
  • Unità di Pronto Impiego “Azalea” (Veneto)
  • Unità di Pronto Impiego “Ginestra” (Laghi Lombardi)

ogni Unità di Pronto Impiego era costituita da:

    • 1 Nucleo Informativo
    • 1 Nucleo Propaganda
    • 1 Nucleo Evasione e Fuga
    • 2 Nuclei Guerriglia
    • 2 Nuclei Sabotaggio

per un totale di 40 Nuclei. Inoltre, esistevano altre 5 Unità di Guerriglia di Pronto Impiego in regioni di particolare interesse. Esistevano, a partire dal 1963 fino al 1972, altresì, 139 Depositi “Nasco”. Gli Statunitensi dotarono la Struttura anche di un aereo Dakota C47, nome in codice “Argo-16”, fornito per le operazioni di trasporto.

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