Il 2 luglio 1993, durante l’operazione denominata “Canguro 12” decisa dal Comando ITALFOR, forze italiane divise in due colonne meccanizzate effettuarono un rastrellamento alla ricerca di armi del quartiere Haliwaa, a nord di Mogadiscio, verso vari obiettivi vicini all’ex Pastificio distrutto, vicino al quale era stato costituito un posto di blocco denominato appunto Pasta. Secondo alcune ricostruzioni il vero scopo dell’operazione doveva essere la cattura di Aidid, ma nessuna conferma ufficiale è mai stata data dalle autorità italiane .

Il rastrellamento

Le due colonne, rispettivamente Alfa e Bravo, provenivano la prima dalla zona del Porto Vecchio di Mogadiscio e la seconda dalla città di Balad, altro importante presidio italiano durante la missione situato a circa venti km da Mogadiscio. Terminata l’operazione di rastrellamento, le due colonne ripresero la via del ritorno. In seguito a gravi disordini scoppiati nella zona, con larga partecipazione da parte della popolazione locale a cui erano mischiati cecchini, la situazione precipitò al punto da rendere necessario richiedere rinforzi da parte della colonna Bravo, che si trovava in prossimità del Pastificio lungo la via Imperiale.

L’imboscata

Alcuni mezzi blindati italiani VCC-1, fermatisi di fronte a barricate erette dai somali, vennero immobilizzati con razzi anticarro mentre le strade circostanti venivano bloccate con altre barricate da parte dei miliziani somali; in uno di questi, colpito alla gamba dal razzo, morì il parà Pasquale Baccaro, mentre altri due membri dell’equipaggio rimasero feriti. Venne deciso quindi l’intervento di soccorso della colonna Alfa, quasi arrivata alla base, dotata di carri M60 e blindo pesanti Centauro con cannoni da 105mm, che però non avevano l’autorizzazione ad usare per il rischio di colpire i civili, e l’ulteriore appoggio di elicotteri Mangusta ed AB-205; gli equipaggi dei blindati, non potendo usare i cannoni, cercarono di proteggere gli altri veicoli ed i compagni feriti con le mitragliatrici, mentre si tentava di rimettere in moto uno dei veicoli immobilizzati e gli uomini appiedati rastrellarono le vicinanze; durante questa azione venne colpito a morte il sergente incursore Stefano Paolicchi. Solo in due occasioni venne utilizzato l’armamento pesante: un numero non precisato di M60 aprì il fuoco contro dei container che servivano da scudo ai miliziani provocando grandi perdite, e un elicottero da attacco Mangusta colpì con un razzo da 81 mm un veicolo italiano catturato dai somali, mandandolo in pezzi. Questo, tra le altre cose, può essere considerato come il battesimo del fuoco di questo mezzo. Tra gli uomini della colonna di soccorso, il sottotenente Andrea Millevoi, capo di una colonna di blindo Centauro, venne colpito da un cecchino mentre si sporgeva dal suo mezzo per dirigere il fuoco della mitragliera da 12,7 mm; l’arrivo dei nuovi mezzi corazzati permise ai soldati sotto il fuoco di sganciarsi, con miliziani che sparavano dalla folla vociante facendosi scudo di donne e bambini.

Il conto di questa giornata di combattimenti in quella che doveva essere una missione di pace fu di tre caduti:

– Andrea Millevoi, Sottotenente del reggimento Lancieri di Montebello, Medaglia d’oro al valor militare (MOVM) alla memoria;
– Stefano Paolicchi, Sergente Maggiore del 9° Reggimento paracadutisti d’assalto Col Moschin, MOVM alla memoria;
– Pasquale Baccaro, 186° reggimento della Brigata Paracadutisti Folgore, MOVM alla memoria;

vi furono inoltre 36 feriti da parte italiana ed un numero imprecisato di miliziani e civili somali morti o feriti.
Data la vastità e la organizzazione della reazione da parte dei miliziani, sono state fatte nel quadro di una analisi approfondita supposizioni relative ad una imboscata orchestrata in seguito ad una fuga di notizie, nata all’esterno del contingente italiano; nessun riscontro ufficiale è disponibile a quella che rimane una illazione, per quanto credibile.

Fonte www.wikipedia.it